Dalle Prefazioni:
Fin da principio l’intento era
di ̋portare a Narni uno specimen
del barocco romano
̏, cosa che avvenne idealmente ed anche fisicamente; oggi
diremmo, per usare una locuzione propria del dibattito attuale in tema di beni
culturali, in termini ʻimmaterialiʼ
e ʻmaterialiʼ.
Questa idea trovò conferma, al
tempo dell’impegno del cardinale Sacripante e del suo architetto di fiducia
Nicola Michetti, nel recupero, sempre in Roma, dalla chiesa dei Santi Apostoli,
in fase di profonda ristrutturazione, dell’altare di metà Seicento della
Cappella di Sant’Antonio di Padova, opera eccellente e innovativa
dell’architetto Carlo Rainaldi. Acquistata, smontata accuratamente e rimontata
a Narni nella Cappella della Beata Lucia. […]
Dall’intero lavoro di ricerca
emergono la complessità e le difficoltà che si nascondono dietro la bellezza
acquietante delle opere compiute. Come detto, esse, se ben riuscite, sembrano a
prima vista come nate di getto, nella loro perfezione ma, ad una più attenta
analisi, certamente formale ma anche documentaria, lasciano comprendere ed
anche ripercorrere la loro vita travagliata. Quel progettare e realizzare per
continui aggiustamenti, ma cercando di mantenere la concezione originaria,
nella ricerca spasmodica dei finanziamenti […] fino alla conseguente ricerca di
appoggi e raccomandazioni a Roma. Tutti aspetti che innervano e condizionano,
nei decenni,, l’impresa narnese.
Di ciò è resa una cronaca minuziosa
e, come detto, documentatissima, incentrata sulle vicende economico-costruttive
relative alla Cattedrale ed al suo arricchimento decorativo. Un regalo alla
storia di Narni, alla sua cultura e la suo passato, visto anche in relazione a
Roma com’è proprio di quella parte dell’Umbria che, salendo fino a Spoleto (si
pensi alla conversione romana, urbanistica, architettonica e decorativa, del
Duomo di quella città nella ricostruzione romanica di XII secolo e poi agli
interventi berniniani del XVII secolo ed ancora dopo alla presenza di Giuseppe
Valadier), guarda più al sud che a Perugia o Firenze.
(Giovanni Carbonara)
Popolata da numerosi dipinti, e con
una interessante ̏ filiale̋ narnese, la collezione Sacripante ci si mostra nel
suo spetto più squisito, quello di una collezione al passo con i tempi, una
collezione di arte contemporanea. Contempla la presenza di pochi esemplari dei
secoli precedenti e si concentra su quegli artisti che rappresentavano il ̋buon
gusto ̏ imperante a Roma, quasi servisse ai Sacripante da lasciapassare, una
sorta di patente di appartenenza ad un mondo culturale e politico che,
nell’arte scaturita dall’Arcadia e dall’Accademia di San Luca, vedeva un calmo
punto di arrivo dopo la furia barocca. […]
La lettura degli inventari dei
Sacripante, qui per la prima volta messi in
relazione tra loro e letti cronologicamente e diacronicamente, mostra
come, ad apertura di secolo, l’adesione al gusto clementino fosse sposata dal
cardinale Giuseppe nell’ambizione e orgoglio della sua attività
collezionistica. Maratti e Gaulli,
ma anche Trevisani, Chiari, Luti, Conca sono alcuni dei nomi di artisti che
ritroviamo negli inventari e che sono spesso presenti con i bozzetti di quegli
affreschi delle chiese di Roma e Narni dove il Sacripante interviene come
committente e dove ancora oggi possiamo ascoltare la sua voce e quella della
sua famiglia. […]
Un’opera ponderosa e generosa che,
come raramente accade, offre a tutti
spunti e materiali per futuri progetti di studio. Un volume che, per volontà
del suo autore, viene inviato alle maggiori biblioteche per invitare ad
addentrarsi nel viaggio e contribuire alla conoscenza di questo straordinario
monumento. La conoscenza è la base stessa della salvaguardia e della tutela del
territorio e quest’ultima prende una forma compiuta solo quando la prima ne
delinea la strada, ne sostanzia l’azione. Questo volume, oltre alla sua
intrinseca importanza, ci supporta nella fondamentale operazione a cui tutti,
cittadini e studiosi, siamo chiamati a concorrere, conoscere per tutelare e
tramandare al futuro.
(Federica Zalabra)